domenica 28 ottobre 2012

La rivoluzione varietale del caffè nella tazzina di espresso


Vi siete mai chiesti quanto la varietà botanica di un caffè influenza la tazza, in particolare preparata con il metodo espresso? Abbiamo incontrato il prof. Giorgio Graziosi, dell’Università degli Studi di Trieste – Dipartimento di Scienze della Vita, esperto nella ricerca e analisi del DNA, divenuto uno dei massimi esperti mondiali della famiglie delle Rubiacee, in particolare della Coffea Arabica, Liberica e Canephora. Il dipartimento di Scienza della vita di Trieste è in grado di effettuare ricerche volte alla individuazione di nuovi polimorfismi in vari organismi, sia al loro utilizzo per lo studio di popolazioni. I polimorfismi del DNA vengono utilizzati a scopi pratici per gli accertamenti di paternità e per le identificazioni personali. I principali filoni di ricerca attivi sono le analisi dei polimorfismi autosomici nella popolazione Italiana, analisi familiare degli aplotipi del cromosoma Y, identificazione di nuovi polimorfismi in Coffea arabica, caratterizzazione delle varietà di Coffea arabica.
L’Università di Trieste ha lavorato sulla genetica del caffè per 15 anni, un gruppo di lavoro diretto dal prof. Graziosi, il cui risultato è il deposito di una serie di brevetti sull’analisi del caffè verde e tostato che porteranno utili benefici agli operatori del settore. Con l’analisi del DNA del caffè e con i test brevettati si è in grado di identificare la varietà, ovvero il cultivar, di qualsiasi chicco.


Innanzitutto cerchiamo di approfondire cosa vuol dire varietà specie botanica e varietà/cultivar di una specie vegetale. Semplificando con il termini specie viene indicata la differenza che c’è per esempio tra la pera e la mela, o tra il cane e il gatto.
Col termine varietà si intende in senso descrittivo la diversità delle caratteristiche all'interno di una specie biologica: il termine ha però assunto anche un significato in senso distintivo, con "una varietà" (ristretta quasi a singolarità) si intende una parte ristretta, del complesso delle varietà esistenti, avente caratteristiche in qualche modo distinguibili dalla rimanente gamma varietale.
La accezione distintiva di varietà, subordinata alla specie, anche se può essere citata in tassonomia può considerarsi esclusa dal sistema rigoroso di classificazione tassonomica.
Con lo sviluppo della conoscenza su parametri meno evidenti, come la identificazione deicaratteri genetici, si possono aggiungere molte altre forme di raggruppamento e classificazione a quelle già storicamente presenti.
I termini varietà e cultivar indicano la stessa cosa: nell’esempio delle mele sono cultivar diversi la Fuji e la Renetta.

Nel mondo del caffè espresso, in particolare in Italia, i torrefattori vendono un prodotto per la preparazione della bevanda che è composta da una miscela di chicchi provenienti da diversi paesi d’origine e che spesso rappresentano miscele di diverse varietà botaniche prodotte da diversi coltivatori.

Un esempio chiarificatore può venir fatto presentando un parallelismo con la coltivazione e produzione delle mele. Tutti noi, quando andiamo al supermercato, di fronte ad una variegata offerta di diversi tipi di mela, ci imbattiamo nei nomi delle singole varietà botaniche: Golden delicious, Granny smith, Fuji, Pink Lady, Stark, Royal Gala, ecc. Come tutti noi sperimentiamo, appena vediamo una certa tipologia di mela, già “pregustiamo” con la vista le sue caratteristiche organolettiche: da una mela di un bel verde brillante e lucida, liscia in superficie, ci aspetteremo nel morderla una pasta compatta e croccante, particolarmente sugosa e con una spiccata acidità; una mela verde/gialla, opaca, leggermente corrugata anticiperà una pasta croccante ma morbida, uno spiccato gusto dolce e piacevolmente sugosa e così via. Nel mondo delle mele sappiamo tutti che una Pink lady coltivata in Italia sarà sostanzialmente identica al gusto rispetto a una Pink lady coltivata in Cile.

Da queste considerazioni viene spontaneo chiedersi come mai nel mondo del caffè le varietà botaniche non vengono considerate quale elemento di classificazione nell’acquisto e nell’uso in miscela dei chicchi? Se ci pensiamo perché non valutare che un Bourbon coltivato in Guatemala non possa essere simile a un Bourbon coltivato in India, considerando certamente altitudine, condizioni climatiche e metodo di lavorazione simili?

Il prof. Graziosi è presidente di una società spin off dell’Università, la DNA-analytica Srl, che offre servizi di analisi in grado di identificare la percentuale di arabica e robusta in un sacco di caffè tostato con una precisione indubbiamente superiore agli attuali test disponibili sul mercato ed inoltre è in grado di individuare la presenza di organismi OGM. Questo test forse non molto importante ma necessario per alcune dogane che richiedono tale analisi per poter importare il caffè in quel paese.



Prof. Graziosi come la comunità scientifica in questi anni ha accolto il vostro lavoro di ricerca sul caffè? E in quali paesi di produzione avete stretto delle collaborazioni/sinergie?

All’interno della comunità scientifica del caffè siamo divenuti piuttosto popolari ma, a volte, osteggiati da chi aveva il monopolio della ricerca sul caffè prima di noi. Il nostro dipartimento di ricerca è particolarmente apprezzato e stimato nei paesi d’origine del caffè, come per esempio dal Coffee Board del Congo e dal governo dell’Indonesia.
In questi anni di ricerca abbiamo instaurato proficue collaborazioni con molti produttori di caffè per esempio in India, Indonesia e Brasile. Per esempio in Indonesia, in collaborazione con il governo locale, abbiamo analizzato il DNA dell’intera collezione di piante che vengono coltivate nel paese: per esempio abbiamo scoperto che chiamavano varietà botaniche diverse con lo stesso nome e viceversa.

Chiediamo al prof. Graziosi un commento sul mercato del caffè orientato alle origini: “sono un po’ sorpreso su come opera il commercio del caffè verde e sul fatto che non vengono prese in considerazione le cultivar del caffè ma solamente il paese di origine. A mio parere il mercato del caffè dovrebbe evolvere nella direzione delle varietà botaniche in quanto diversificherebbe l’offerta: sicuramente varietà botaniche diverse hanno gusti diversi che sono sostanzialmente ripetibili anche con condizioni climatiche differenti. Il clima e il terroir non influisce così notevolmente sul risultato in tazza, la base del gusto è fatta dalla base genetica che poi risente del clima. L’80%-85% del gusto del caffè è data dalla cultivar, il rimanente dal torroir.”



Nell’attuale mercato internazionale del caffè tostato, sempre di più i consumatori richiedono qualità e conoscenza di ciò che comprano quindi la possibilità di identificare precisamente il prodotto caffè attraverso la cultivar sarà necessariamente una via obbligata di sviluppo del mercato da cui non si potrà prescindere. Certamente la strada è lunga considerando che il commercio del caffè verde è impostato sulle origini, classificazione commerciale in base alla distinzione tra rabica e robusta, metodo di lavorazione e numero di difetti.

Attualmente solamente nel ristretto mercato degli speciality coffees la cultivar ha una determinata importanza nella determinazione del prezzo assieme alle caratteristiche organolettiche.

In conclusione, prof. Graziosi, quali prospettive per la neonata DNA-analytica Srl?

Direi che le prospettive non possono che essere floride. Vorrei ricordare che a breve, con l’entrata in vigore della nuova normativa sulla tracciabilità nel mercato alimentare a livello di Comunità Europea, sarà obbligatorio su tutte le etichette degli alimenti indicare precisamente le materie prime utilizzate. Ora le etichette del caffè venduto non riportano le composizioni delle miscele, né in termini di specie botanica né di paesi d’origine. E’ quindi ragionevole pensare che DNA-analytica, avendo maturato una grande competenza nell’identificazione varietale del caffè, diverrà il riferimento nel settore.

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