Vi siete mai chiesti quanto la varietà botanica di un caffè
influenza la tazza, in particolare preparata con il metodo espresso? Abbiamo
incontrato il prof. Giorgio Graziosi, dell’Università degli Studi di Trieste –
Dipartimento di Scienze della Vita, esperto nella ricerca e analisi del DNA,
divenuto uno dei massimi esperti mondiali della famiglie delle Rubiacee, in
particolare della Coffea Arabica, Liberica e Canephora. Il dipartimento di
Scienza della vita di Trieste è in grado di effettuare ricerche volte alla
individuazione di nuovi polimorfismi in vari organismi, sia al loro utilizzo
per lo studio di popolazioni. I polimorfismi del DNA vengono utilizzati a scopi
pratici per gli accertamenti di paternità e per le identificazioni personali. I
principali filoni di ricerca attivi sono le analisi dei polimorfismi autosomici
nella popolazione Italiana, analisi familiare degli aplotipi del cromosoma Y,
identificazione di nuovi polimorfismi in Coffea arabica,
caratterizzazione delle varietà di Coffea arabica.
L’Università di Trieste ha lavorato sulla genetica del caffè
per 15 anni, un gruppo di lavoro diretto dal prof. Graziosi, il cui risultato è
il deposito di una serie di brevetti sull’analisi del caffè verde e tostato che
porteranno utili benefici agli operatori del settore. Con l’analisi del DNA del
caffè e con i test brevettati si è in grado di identificare la varietà, ovvero
il cultivar, di qualsiasi chicco.
Innanzitutto cerchiamo di approfondire cosa vuol dire
varietà specie botanica e varietà/cultivar di una specie vegetale. Semplificando con il termini specie viene indicata la
differenza che c’è per esempio tra la pera e la mela, o tra il cane e il gatto.
Col
termine varietà si intende in senso descrittivo la diversità delle
caratteristiche all'interno di una specie biologica: il termine ha però assunto anche
un significato in senso distintivo, con "una varietà" (ristretta
quasi a singolarità) si intende una parte ristretta, del complesso delle
varietà esistenti, avente caratteristiche in qualche modo distinguibili dalla
rimanente gamma varietale.
La
accezione distintiva di varietà, subordinata alla specie, anche se può essere
citata in tassonomia
può considerarsi esclusa dal sistema rigoroso di classificazione tassonomica.
Con
lo sviluppo della conoscenza su parametri meno evidenti, come la identificazione
deicaratteri genetici, si possono aggiungere molte altre forme di
raggruppamento e classificazione a quelle già storicamente presenti.
I
termini varietà e cultivar indicano la stessa cosa: nell’esempio delle mele
sono cultivar diversi la Fuji e la Renetta.
Nel mondo del caffè espresso, in particolare in Italia, i
torrefattori vendono un prodotto per la preparazione della bevanda che è
composta da una miscela di chicchi provenienti da diversi paesi d’origine e che
spesso rappresentano miscele di diverse varietà botaniche prodotte da diversi
coltivatori.
Un
esempio chiarificatore può venir fatto presentando un parallelismo con la
coltivazione e produzione delle mele. Tutti noi, quando andiamo al
supermercato, di fronte ad una variegata offerta di diversi tipi di mela, ci
imbattiamo nei nomi delle singole varietà botaniche: Golden delicious, Granny
smith, Fuji, Pink Lady, Stark, Royal Gala, ecc. Come tutti noi sperimentiamo,
appena vediamo una certa tipologia di mela, già “pregustiamo” con la vista le
sue caratteristiche organolettiche: da una mela di un bel verde brillante e lucida,
liscia in superficie, ci aspetteremo nel morderla una pasta compatta e croccante,
particolarmente sugosa e con una spiccata acidità; una mela verde/gialla,
opaca, leggermente corrugata anticiperà una pasta croccante ma morbida, uno
spiccato gusto dolce e piacevolmente sugosa e così via. Nel mondo delle mele
sappiamo tutti che una Pink lady coltivata in Italia sarà sostanzialmente
identica al gusto rispetto a una Pink lady coltivata in Cile.
Da queste considerazioni viene spontaneo chiedersi come mai
nel mondo del caffè le varietà botaniche non vengono considerate quale elemento
di classificazione nell’acquisto e nell’uso in miscela dei chicchi? Se ci
pensiamo perché non valutare che un Bourbon coltivato in Guatemala non possa
essere simile a un Bourbon coltivato in India, considerando certamente
altitudine, condizioni climatiche e metodo di lavorazione simili?
Il prof. Graziosi è presidente di una società spin off
dell’Università, la DNA-analytica Srl, che offre servizi di analisi in grado di
identificare la percentuale di arabica e robusta in un sacco di caffè tostato
con una precisione indubbiamente superiore agli attuali test disponibili sul
mercato ed inoltre è in grado di individuare la presenza di organismi OGM.
Questo test forse non molto importante ma necessario per alcune dogane che
richiedono tale analisi per poter importare il caffè in quel paese.
Prof. Graziosi come la comunità scientifica in questi anni
ha accolto il vostro lavoro di ricerca sul caffè? E in quali paesi di
produzione avete stretto delle collaborazioni/sinergie?
All’interno della comunità scientifica del caffè siamo
divenuti piuttosto popolari ma, a volte, osteggiati da chi aveva il monopolio
della ricerca sul caffè prima di noi. Il nostro dipartimento di ricerca è
particolarmente apprezzato e stimato nei paesi d’origine del caffè, come per
esempio dal Coffee Board del Congo e dal governo dell’Indonesia.
In questi anni di ricerca abbiamo instaurato proficue
collaborazioni con molti produttori di caffè per esempio in India, Indonesia e
Brasile. Per esempio in Indonesia, in collaborazione con il governo locale,
abbiamo analizzato il DNA dell’intera collezione di piante che vengono
coltivate nel paese: per esempio abbiamo scoperto che chiamavano varietà
botaniche diverse con lo stesso nome e viceversa.
Chiediamo al prof. Graziosi un commento sul mercato del
caffè orientato alle origini: “sono un po’ sorpreso su come opera il commercio
del caffè verde e sul fatto che non vengono prese in considerazione le cultivar
del caffè ma solamente il paese di origine. A mio parere il mercato del caffè
dovrebbe evolvere nella direzione delle varietà botaniche in quanto
diversificherebbe l’offerta: sicuramente varietà botaniche diverse hanno gusti
diversi che sono sostanzialmente ripetibili anche con condizioni climatiche
differenti. Il clima e il terroir non influisce così notevolmente sul risultato
in tazza, la base del gusto è fatta dalla base genetica che poi risente del
clima. L’80%-85% del gusto del caffè è data dalla cultivar, il rimanente dal
torroir.”
Nell’attuale mercato internazionale del caffè tostato,
sempre di più i consumatori richiedono qualità e conoscenza di ciò che comprano
quindi la possibilità di identificare precisamente il prodotto caffè attraverso
la cultivar sarà necessariamente una via obbligata di sviluppo del mercato da
cui non si potrà prescindere. Certamente la strada è lunga considerando che il
commercio del caffè verde è impostato sulle origini, classificazione
commerciale in base alla distinzione tra rabica e robusta, metodo di
lavorazione e numero di difetti.
Attualmente solamente nel ristretto mercato degli speciality
coffees la cultivar ha una determinata importanza nella determinazione del
prezzo assieme alle caratteristiche organolettiche.
In conclusione, prof. Graziosi, quali prospettive per la
neonata DNA-analytica Srl?
Direi che le prospettive non possono che essere floride.
Vorrei ricordare che a breve, con l’entrata in vigore della nuova normativa
sulla tracciabilità nel mercato alimentare a livello di Comunità Europea, sarà
obbligatorio su tutte le etichette degli alimenti indicare precisamente le
materie prime utilizzate. Ora le etichette del caffè venduto non riportano le
composizioni delle miscele, né in termini di specie botanica né di paesi
d’origine. E’ quindi ragionevole pensare che DNA-analytica, avendo maturato una
grande competenza nell’identificazione varietale del caffè, diverrà il
riferimento nel settore.
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